Pentecoste: cosa significa davvero?
SCOPO DI ATTI DEGLI APOSTOLI
Se letto insieme al Vangelo di Luca, Atti rimane ancorato al ministero e all’insegnamento di Gesù. Il regno è arrivato e il libro di Atti narra l’attuazione di questa realtà degli “ultimi giorni” nella Chiesa primitiva. Il libro è stato probabilmente scritto anche per convincere i Gentili, convertiti di recente, di essere veramente parte del popolo di Dio degli ultimi giorni, il vero Israele.
TEMI BIBLICO-TEOLOGICI
La profezia di Gioele sullo Spirito e Pentecoste
L’effusione dello Spirito a Pentecoste è un evento estremamente importante per la Chiesa primitiva. È l’affermazione della Chiesa come vero popolo di Dio. Ciò che è iniziato in forma di seme nella persona di Gesù e dei discepoli nei Vangeli, giunge a piena fioritura a Pentecoste in Atti 2 e nei capitoli successivi. Pietro spiega che gli eventi che si svolgono a Pentecoste è l’inizio dell’adempimento della profezia di Gioele, secondo cui Dio avrebbe “effuso il [suo] Spirito su tutti i popoli” e tutte le classi di persone della comunità dell’alleanza avrebbero profetizzato (Gioele 2:28-29). All’inizio della citazione di Gioele 2:28, Pietro sostituisce la frase di Gioele “dopo queste cose” con “negli ultimi giorni”. La sostituzione proviene da Isaia 2:2: “Negli ultimi giorni il monte del tempio del Signore sarà stabilito come il più alto dei monti; sarà esaltato al di sopra delle colline e tutte le nazioni accorreranno ad esso”. Pietro fonde insieme la venuta dello Spirito a Pentecoste con la profezia di Isaia sul tempio degli ultimi giorni e sull’afflusso dei Gentili. L’effusione dello Spirito sulla comunità dell’alleanza in Atti 2 segnala la presenza celeste di Dio che scende sul suo popolo e lo incorpora nel suo tempio finale. I cieli e la terra si stanno unificando e l’aspettativa enunciata in Genesi 1-2 si sta finalmente realizzando.
Sotto l’antica alleanza, la potenza dello Spirito permetteva ai profeti, ai sacerdoti e ai re di svolgere i loro compiti specifici. Il profeta Gioele, però, prevedeva un tempo futuro in cui tutti gli “israeliti” avrebbero ricevuto lo Spirito della fine dei tempi e avrebbero servito in qualità di profeti, sacerdoti e re. Ma Gioele 2 fa parte di un’aspettativa più ampia che ha avuto inizio nelle prime fasi della vita di Israele. Già in precedenza, in Numeri 11, Mosè supplica Dio di fornirgli dei capi per condividere il peso del popolo (Num 11:11, 17 [cfr. Es 18:13-27]). Dio ordina a Mosè di radunare “settanta uomini tra gli anziani” e di “portarli alla tenda di convegno e di metterli lì con te. Allora io scenderò e… prenderò lo Spirito che è su di te e lo metterò su di loro” (Num 11,16-17). Mosè obbedisce a Dio: “Radunò settanta anziani… e li mise intorno alla tenda. Poi il Signore scese nella nuvola… e prese lo Spirito che era su di lui [Mosè] e lo pose sui settanta anziani. E quando lo Spirito si posò su di loro, essi profetizzarono” (11:24-25). Poi smisero di profetizzare, ma due anziani in un altro luogo continuarono a farlo. Quando Giosuè lo seppe, chiese a Mosè di fermarli. Mosè rifiutò, rispondendo: “Oh, fossero tutti profeti nel popolo dell’Eterno, e volesse l’Eterno mettere il suo Spirito su di loro!” (11:29). Quello che era iniziato con un desiderio di Mosè viene trasformato in una profezia formale dal profeta Gioele. I doni dello Spirito, prima limitati ai profeti, ai re e ai sacerdoti, vengono universalizzati a tutto il popolo di Dio, di ogni razza, giovane e vecchio, maschio e femmina.
A Pentecoste, lo Spirito conferisce al popolo di Dio il potere di testimoniare il Cristo risorto alle nazioni. La Chiesa è pronta per essere un “regno di sacerdoti” (Es 19,6) che media la gloria di Dio alle nazioni. La promessa di Atti 1:8, secondo cui gli apostoli saranno
“testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” è una virtuale ripetizione dell’incarico ricevuto da Israele in Esodo 19,6. Come Mosè riunì Israele sul Sinai e li incaricò, così Gesù riunisce i dodici discepoli sul Monte degli Ulivi (At 1,12) e li incarica. La differenza tra Esodo 19:6 e Atti 1:8 sta nella presenza dello Spirito, che assicurerà che l’errore di Adamo ed Eva e di Israele non si ripeta e che gli apostoli rispondano in obbedienza. La gloria di Dio è in azione!
La “Parola di Dio”
L’espressione “parola di Dio” o “parola del Signore” ricorre più di venti volte nel libro degli Atti, indicando chiaramente la sua importanza. Scendendo un po’ più in profondità, scopriamo che l’espressione è spesso abbinata a termini come crescita e moltiplicazione. Ad esempio, in Atti 6:7 si legge: “E la parola di Dio continuava ad aumentare e il numero dei discepoli si moltiplicava grandemente a Gerusalemme”. La singolare formulazione allude a Genesi 1:28, dove Adamo ed Eva devono “essere fecondi e moltiplicare; riempire la terra e soggiogarla. Dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che si muove sul suolo”. Qui Dio comanda ad Adamo ed Eva di riprodursi e di creare una comunità divina che diffonda la sua gloria fino ai confini della terra. In momenti strategici della narrazione, il libro degli Atti riprende questo linguaggio della crescita e della moltiplicazione per segnare eventi chiave durante i primi decenni della Chiesa primitiva (Atti 6:7; 9:31; 12:24; 16:5; 19:20).
Diversamente da Genesi 1:28, la Parola di Dio, non le persone, porta frutto e si moltiplica negli Atti. Come Adamo ed Eva dovevano “essere fecondi e moltiplicarsi” (Gen 1:28), così ora il Vangelo “porta frutto e cresce” e riempie la terra (Col 1:6, 10). I progenitori spirituali si moltiplicano per riempire la terra attraverso il Vangelo. Perché la Parola di Dio aumenta e si moltiplica negli Atti attraverso la progenie spirituale invece di moltiplicare la stessa progenie fisica, come in Genesi 1:28? In realtà, è probabile che Genesi 1:28 abbia in mente non solo figli fisici, ma anche figli che dovevano essere portatori spirituali dell’immagine di Dio.
Dobbiamo ricordare che anche in Genesi 1:28 la Parola di Dio è essenziale, poiché Adamo ed Eva dovevano sottomettere la terra attraverso l’obbedienza alla Parola di Dio (Gen 2:16-17). Adamo ed Eva non riescono a sottomettere il serpente perché non ricordano e non obbediscono correttamente alla Parola di Dio (Gen 3,1-7). La genealogia di Genesi 5 traccia la fase iniziale del corretto adempimento di Genesi 1,28, e la “somiglianza di Dio” in Adamo viene trasmessa a Seth, che è a “somiglianza di Adamo, a sua immagine e somiglianza” (Gen 5,3). Qui l’immagine di Dio in Adamo viene trasmessa attraverso Seth, che mantiene la Parola di Dio, a differenza dell’assassino Caino. Le immagini di Dio si moltiplicano come un movimento d’avanguardia, iniziando a diffondersi sulla terra con l’obiettivo di riempirla di portatori della gloria divina. Il libro degli Atti si concentra sui figli spirituali di Cristo, l’ultimo Adamo, che si moltiplicano per mezzo della Parola.
LA GLORIA DI DIO ARRIVA A GERUSALEMME (1,1-6,7)
Al centro della storia della Bibbia c’è il desiderio di Dio di abitare intimamente con l’ordine creato. Sebbene Adamo ed Eva fossero stati creati in modo perfetto e Dio avesse abitato con loro nel giardino dell’Eden, la sua presenza era solo parziale e limitata al cielo invisibile. Ma il progetto di Dio di abitare intimamente con la sua creazione rimane immutato in tutto l’Antico Testamento. I patriarchi e Israele hanno sperimentato scorci della presenza divina, ma i profeti ribadiscono che l’umanità e la creazione ospiteranno un giorno la gloria di Dio. Geremia 3,16-17 suggerisce addirittura che la presenza di Dio si espanderà a tal punto che gli israeliti non “ricorderanno” o “sentiranno la mancanza” dell’arca dell’alleanza. I quattro evangelisti testimoniano che il Dio di Israele è straordinariamente disceso nella persona di Cristo (Gv 1,14). Come espressione piena di Dio sulla terra, Gesù invita i suoi discepoli a seguirlo e a partecipare al tempio di Dio che egli istituisce con la sua morte e risurrezione.
Il libro degli Atti narra la discesa del tempio della fine sulla terra. Dio abita ora con il suo popolo! Ciò che è iniziato nella persona di Gesù e dei dodici discepoli ha ora abbracciato la periferia di Israele e le genti. I primi sei capitoli degli Atti introducono i temi principali del libro: la Chiesa come tempio di Dio e gli apostoli come testimoni dell’opera di redenzione di Gesù (At 1,8). Ma mentre il tempio invisibile si espande attraverso il Vangelo, spingendosi verso l’esterno di Gerusalemme, si scatenano persecuzioni e afflizioni. Con il prosperare del regno, cresce anche l’ostilità.
PROLOGO E INCARICO DEI DODICI (1,1-26)
Il prologo sottolinea l’importanza del regno, il primato dello Spirito e l’espansione del Vangelo fino ai confini della terra. Secondo At 1,4, Gesù ordina ai discepoli di rimanere a Gerusalemme e di attendere la “promessa”, cioè il battesimo dello Spirito. Dopo qualche tempo, i discepoli si riuniscono a Gerusalemme e chiedono a Gesù: “Signore, in questo momento ristabilirai il regno in Israele?” (1:6). Già in 1,3 Gesù discute le varie sfaccettature e la natura del regno di Dio. Ma in 1,6 i discepoli, sapendo che alcuni aspetti del regno di Dio sono già arrivati, si chiedono se la nazione teocratica di Israele sarà restaurata proprio in quel momento. I discepoli si chiedono se Gesù stabilirà il suo regno fisico giudicando i romani pagani e liberando Israele dalla schiavitù fisica e spirituale. Ma la risposta di Gesù è a dir poco stupefacente: “Non spetta a voi conoscere i tempi o le date che il Padre ha stabilito con la propria autorità” (1,7). Anche se i discepoli non hanno la prerogativa di sapere quando il regno sarà instaurato, Gesù risponde alla loro domanda, anche se indirettamente: “Riceverete forza quando lo Spirito Santo verrà su di voi; e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Egli afferma che l’effusione dello Spirito dimostrerà la presenza del regno della fine. G. B. Caird ha ragione nel suggerire che “lo Spirito è sempre un dono escatologico, un presagio degli “ultimi giorni””. I Dodici devono essere suoi testimoni portando il Vangelo “fino ai confini della terra”. Atti 1:8 è un’appropriata sintesi del libro degli Atti: la gloria di Dio sarà portata agli angoli più remoti del mondo conosciuto, come compimento dell’incarico di Genesi 1:28.
Atti 1:8 richiama alcuni passi importanti delle profezie di restaurazione in Isaia: “finché lo Spirito non sia stato riversato su di noi dall’alto” (Is 32,15); “Voi siete i miei testimoni… e il mio servo che ho scelto” (Is 43,10); “Io vi farò anche diventare una luce per le genti, perché la mia salvezza giunga fino agli estremi confini della terra” (Is 49,6). Il senso dell’inserimento di questi riferimenti di Isaia in Atti 1:8 è quello di segnalare il diretto adempimento delle profezie di Isaia riguardanti Israele e le nazioni. La morte e la risurrezione di Cristo e l’effusione dello Spirito danno il via al compimento iniziale della restaurazione di Israele.
Subito dopo l’incarico ai discepoli, Gesù sale al cielo in una “nuvola” (1,9). Anche se si tratta di un solo versetto, Luca sottolinea una dimensione critica del ruolo di Gesù nel libro degli Atti. Qui si percepisce l’intronizzazione di Gesù, che governa e regna sul cosmo insieme al Padre (cfr. Ap 3,21). La morte e la risurrezione di Gesù lo qualificano per essere il Signore esaltato del cosmo, per stabilire il regno, riempire la terra della gloria di Dio e giudicare i nemici di Dio. Nello svolgersi del libro degli Atti, non dobbiamo perdere di vista questa realtà. Gesù governa tutti gli affari della Chiesa primitiva e riversa il suo Spirito su di loro a Pentecoste. Non è forse azzardato intitolare il libro degli Atti: “Atti del Signore Gesù risorto”.
Dopo aver ricevuto l’incarico, Gesù sale al cielo, mentre i discepoli scendono dal Monte degli Ulivi (At 1,12) e si organizzano immediatamente per sostituire Giuda. Gli apostoli sono costretti a conservare il simbolismo del loro numero (1,13-22), quindi tirano a sorte e alla fine viene scelto Mattia per sostituire il traditore (1,23-26). Il vero Israele rimane simbolicamente intatto.
La Pentecoste e l’avvento dello Spirito (2,1-47). Atti 2 racconta l’afflusso di migliaia di ebrei della diaspora a Gerusalemme per celebrare la Pentecoste. La festa di Pentecoste, nota anche come festa delle Settimane, si riferisce al completamento del raccolto dell’orzo (Lev. 23:15-21). Gli israeliti la celebrano cinquanta giorni dopo l’offerta a Dio delle primizie del raccolto, ringraziando per la provvidenza del Signore (Es 34,22; Num 28,26-31; Dt 16,9-12). Durante il periodo intertestamentario, questa festa serviva anche a ricordare la redenzione del Signore in Egitto. Col passare del tempo, gli ebrei celebrarono la Pentecoste per commemorare la consegna della Legge da parte di Dio al Sinai.
Lo Spirito sembra essere stato versato in due fasi: prima sugli apostoli e sul gruppo dei 120 nella stanza superiore di un’abitazione privata (2,1-4; cfr. fi g. 8,4) e poi sui Giudei della diaspora nel tempio (2,5-41). In entrambi i racconti, l’effetto della discesa dello Spirito è il parlare in lingue, che sembrano essere lingue conosciute in diverse parti del mondo antico (2,8).
L’elenco delle nazioni rappresentate dai giudei diaspora a Pentecoste, in Atti 2:9-11, allude alla Tavola delle Nazioni di Genesi 10. Secondo Genesi 10, i figli di Noè si moltiplicarono in “settanta nazioni”, distribuite in varie regioni della Mesopotamia. Genesi 11:1 afferma che tutta la terra aveva “una sola lingua e un linguaggio comune”. Un gran numero di persone che rappresentavano le settanta nazioni cerca di costruire una città e una “una torre che raggiunga i cieli” (Gen 11,4) per potersi fare un nome e non essere dispersi su tutta la terra. Questo proposito è diametralmente opposto all’incarico di Genesi 1,28. Secondo Genesi 1, Dio comanda ad Adamo ed Eva di diffondere la gloria di Dio fino ai confini della terra, ma qui, in Genesi 11, l’umanità si riunisce. Invece di lodare il nome di Dio, gli uomini lavorano per costruire un nome a se stessi (Gen 11,4). Confondendo il loro linguaggio, l’umanità non è in grado di funzionare come un’unica entità e di realizzare le proprie inclinazioni e ambizioni. L’umanità è ora permanentemente divisa, separata da diverse lingue.
Il giudizio di Dio a Babele viene finalmente invertito a Pentecoste: i rappresentanti delle nazioni disperse trovano la vera armonia grazie alla potenza dello Spirito a Gerusalemme. Dotata di una lingua unificata, la Chiesa può ora testimoniare la morte, la risurrezione e l’intronizzazione di Gesù sul suo trono celeste per regnare come re cosmico (At 1,8). Sotto la regalità di Gesù e con la forza del suo Spirito, i rappresentanti di queste nazioni si disperderanno di nuovo e sottometteranno le potenze del male riempiendo la terra della presenza di Dio (cfr. Lc 10).
L’apparizione di “lingue di fuoco” dimostra l’avvento dello Spirito (2,3), ricordando la presenza unica di Dio che si trova in tutto l’Antico Testamento in una serie di teofanie, o manifestazioni di Dio. L’espressione “lingue di fuoco” ricorre in Isaia 30:27-30, dove Dio scende dal suo tempio celeste per giudicare (cfr. Is 5:24-25; 1 En 14:9-10, 15, 22). Considerando questi indizi, apprendiamo che la presenza celeste di Dio scende sulla Chiesa.
La folla a Gerusalemme è composta da ebrei e proseliti ebrei, ma i presenti al tempio non sono tutti di Gerusalemme. Molti di loro provengono dalle regioni più lontane della Diaspora. Quando gli Assiri ridussero in schiavitù gli israeliti nell’VIII secolo a.C. e i Babilonesi li esiliarono nel VI secolo a.C., molti israeliti migrarono nel Mediterraneo orientale. Per secoli, questi ebrei dispersi o della diaspora vissero al di fuori della Palestina, ma spesso si recavano in pellegrinaggio a Gerusalemme per celebrare tre feste (Pasqua / Pane Azzimo, Pentecoste e festa delle capanne).
L’elenco dei Giudei della diaspora in Atti 2:9-11 tradisce un ordine geografico intenzionale. Iniziando da quelli che vivevano in Oriente e poi muovendosi in senso antiorario con Gerusalemme come centro, Luca dimostra che Dio, a Pentecoste, sta restaurando gli ebrei della diaspora, con Gerusalemme come centro. Dio ha radunato il suo popolo Israele e lo ha riempito con la sua presenza gloriosa. Ora che il popolo della Pentecoste ha ricevuto lo Spirito, questi ebrei convertiti a Gerusalemme sono ora il popolo di Dio della fine dei tempi, il vero Israele. Il libro degli Atti presenta la città di Gerusalemme come il centro del cristianesimo per i prossimi decenni, dove gli apostoli serviranno come colonne di questo nuovo tempio (cfr. Gal 2,9).
Unica caratteristica degli Atti è l’uso di diversi discorsi e dialoghi in tutto il libro (ad esempio, 1:4-8, 16-22; 2:14-40; 3:12-26; 5:35-39; 6:2-4; 7:2-53; 10:1-11:18; 13:16-41; 15:1-35; 28:23-28). Come nei libri storici greci e romani, i discorsi negli Atti contribuiscono a guidare la narrazione e a “interpretare la storia per il lettore “.
Atti, Pietro cita una lunga parte di Gioele 2 (At 2,17-21). Nel contesto originale di Gioele 2, il profeta trasforma il desiderio di Mosè in una profezia formale. Secondo Numeri 11, Mosè desidera che tutto il popolo di Dio sia profeta e “che il Signore metta il suo Spirito su di loro” (Num 11:29). Gioele 2 applica il desiderio di Mosè a Israele. Pietro traccia una linea da Gioele 2 agli eventi della Pentecoste, affermando che la profezia di Gioele ha iniziato il suo compimento. I doni dello Spirito, prima limitati ai profeti, ai re e ai sacerdoti, spesso per il servizio nel tempio, sono ora universalizzati a tutto il popolo di Dio, di ogni razza, giovani e anziani, uomini e donne.
Uno degli aspetti più sconcertanti del sermone di Pietro è la citazione di Gioele 2,30-31: “Io mostrerò meraviglie nei cieli e sulla terra, sangue, fuoco e cortine di fumo. Il sole sarà trasformato in tenebre e la luna in sangue” (cfr. At 2,19-20). L’uso dell’Antico Testamento nel sermone di Pietro è probabilmente una combinazione di uso simbolico e di adempimento profetico diretto. Questo linguaggio cosmico apparentemente bizzarro di Gioele 2 si trova altrove nell’Antico Testamento (ad esempio, Is 13:10-13; 24:1-6, 19-23; 34:4; Ger 4:23-28; Ezech 32:6-8). Questo linguaggio cosmico si riferisce figurativamente alla fine storica dell’esistenza di una nazione peccatrice e all’emergere del dominio di un regno vittorioso. Coglie la caduta di una nazione e l’ascesa di un’altra. Secondo Atti 2, il regno sotto giudizio divino è Israele, ma questa volta si tratta della sua fine definitiva come nazione teocratica (cfr. 1 Tess 2,16). La nazione di Israele pagherà a caro prezzo l’esecuzione del Figlio di Dio sulla croce.
Il gruppo di persone che emerge vittorioso a Pentecoste è il resto degli israeliti che si identificano con Cristo risorto e ricevono lo Spirito escatologico. L’effusione dello Spirito porta alla conversione di tremila persone (At 2,41). Questi nuovi convertiti si riuniscono quotidianamente nel complesso del tempio, a indicare che la gloria di Dio ha iniziato a riempire Gerusalemme (2:46). L’effusione dello Spirito avviene in più fasi. Gesù riceve per la prima volta lo Spirito degli ultimi giorni durante il suo battesimo (At 2,33a). Una volta risorto, alita sui discepoli, dando loro una prima esperienza di Pentecoste in forma simbolica (Gv 20,21-23). Infine, a Pentecoste, il Cristo risorto effonde lo Spirito sugli apostoli e su migliaia di credenti ebrei, costituendoli come l’Israele di Dio del tempo finale (At 2,33b).
Tematiche: Teologia biblica
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